2 dicembre
I Domenica di Avvento

Geremia 33,14-16: «Farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra».
Dio ha compassione del suo popolo e di tutti i popoli; ma la sua azione di risanamento si dispiega nel tempo, per offrire possibilità di conversione. Come un seme che cresce, non come un diluvio che spazza via tutto.

Salmo 24: «Il Signore indica ai peccatori la via giusta».
Il salmo mostra che la benevolenza di Dio si rivolge anche a chi ha perso la strada, perché possa ritrovare  il percorso della vita.

1 Tessalonicesi 3,12-4,2: «Come già vi comportate».
Il punto di partenza dell’esortazione di Paolo è il riconoscimento dell’opera di Dio nella comunità dei credenti, e della loro risposta di fede. Non l’insoddisfazione per ciò che manca. Dal rendimento di grazie si apre la possibilità di una crescita, di un miglioramento, fino al compimento.

Luca 21,25-28.34-36: «La forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo.
La prospettiva dell’avvento di Cristo rivela la caducità di ogni realizzazione umana. Inquietante per chi vive in prospettiva mondana, fonte di consolazione per i credenti.

La forza inarrestabile del germoglio di giustizia
L’immagine poetica che nella prima lettura esprime il modo di agire di Dio è quella del germoglio: simbolo di una realtà che si sviluppa con dolcezza, senza distruzioni, senza sconvolgimenti, ma anche in maniera inarrestabile e potente. Non è raro vedere, nelle nostre città, marciapiedi sconvolti, sollevati dalle radici degli alberi a lato dei viali: ciò appare come un disturbo, quasi un attentato “orgoglioso” alla tranquilla, schiacciante cementificazione, e ci provoca a pensare che quell’albero che storce l’asfalto, che solleva lastre di marmo, è stato un tempo un piccolo germoglio; a suo modo ci ricorda l’umile forza del Regno di Dio e la inarrestabile espansione della sua giustizia.

Noi riconosciamo in Gesù quel germoglio: il tempo definitivo è arrivato in lui. La sua croce e risurrezione hanno inaugurato i tempi nuovi: ogni anno l’Avvento contribuisce a ricordarcelo. Rischiamo di essere soffocati dal peso delle cattive notizie, dei segnali di malvagità e corruzione, che suscitano emozioni e scandali passeggeri, e lasciano poi il retrogusto amaro della rassegnazione e della paura. In qualche modo il Vangelo sembra averlo previsto: “Gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra”. In realtà è una facile previsione: dove non c’è la speranza data da Cristo, dove non si è sorretti dall’umile attesa del suo Regno, emerge l’arroganza frettolosa del potere, o la timida remissività dell’impotenza. Dove non c’è la carità divina che fa riconoscere in ogni uomo un fratello, ci si divide tra manipolatori (pochi) e manipolati (tanti): gli uni con la frenesia di conquistare e mantenere il potere, gli altri con l’unico desiderio di dissipare tensioni e delusione, lasciandosi anestetizzare da una qualche forma di piacere o di stordimento.

Restituire la speranza
Gesù ridona speranza, mostra che si può uscire dalla gabbia che sembra inevitabile: “risollevatevi e alzate il capo”; “vegliate in ogni momento pregando”. Gesù non ha paura di dire parole forti, che impegnano pienamente la coscienza e la libertà. La mollezza non è misericordia. Chi lascia che le persone si disperdano negli affanni della vita, chi non offre gioia, ma ubriachezza, non è realmente compassionevole.

Così come sarebbe una pietà monca se Gesù non mostrasse la meta finale, l’avvento definitivo del suo Regno, identificato a partire dalla sua risurrezione. Dio sta realmente trasfigurando la storia dell’uomo, perché tutto possa entrare nel rinnovamento della grazia: ogni realtà devastata dal peccato del mondo può essere rigenerata dalla forza dello Spirito del Risorto.

Trasfigurati dal Signore che viene
I credenti dunque riconoscono l’opera di Dio nella storia: egli continuamente la trasforma, la trasfigura, alimenta in essa germogli di carità. Serve la fede per riconoscerlo: una fede celebrata assiduamente nella liturgia. La celebrazione liturgica trasforma lo sguardo e i sensi spirituali, abilitandoli a contemplare ciò che Dio realizza nella storia; abituandoli anche a contemplare in ogni evento della vita ciò che passa e ciò che resta. Le ricchezze passano; la carità vissuta, sia con elemosine concrete, sia con la donazione immateriale, resta per sempre di fronte a Dio. La bellezza passa, del piacere resta poco; le relazioni autentiche restano. La potenza di Dio non smette mai di produrre effetti permanenti, attraverso le realtà caduche della vita, facendo crescere in noi il dinamismo della grazia.

Uomini nuovi
Ma noi accogliamo la potenza di Dio nel modo in cui vuole manifestarsi? La seconda lettura parla di “crescere e sovrabbondare nell’amore”: si tratta della stessa realtà espressa dall’immagine del seme. Non è determinante la piccolezza iniziale: per la potenza dello Spirito, attraverso una lenta crescita, si arriva alla sovrabbondanza. Così è lo stile di Dio, nella vita del suo popolo (“il più piccolo di tutti i popoli della terra”, cf. Dt 7,7), nella vita dei profeti, di Gesù, e infine anche in noi. Paolo riconosce tutto ciò che è già secondo Cristo nella vita dei Tessalonicesi (“così già vi comportate”), ma rileva che potrà crescere ulteriormente (“possiate progredire ancora di più”). Il Tempo di Avvento che comincia ci invita a coltivare la speranza: non importa da dove partiamo; l’amore di Dio vuole farci avanzare fino alla sua stessa misura di amore.