30 dicembre
Santa Famiglia

In breve

1 Samuele 1,20-22.24-28: «Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto».

La famiglia è luogo di miracoli quotidiani, di accoglienza della misericordia di Dio, di esercizio della carità verso i più vicini.

Salmo 83: «Beato chi abita nella tua casa».

La forza di costruire una famiglia proviene da Dio.

1 Giovanni 3,1-2; 21-24: «Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui».

L’osservanza dei comandamenti qui non è vista come il frutto di uno sforzo personale, ma di un dimorare costantemente nella benevolenza di Dio.

Luca 2,41-52: «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia».

L’incarnazione non ha solo un aspetto statico, ma implica un dinamismo, una trasformazione, un progredire. Accettando di farsi uomo, il Verbo accetta di entrare in un processo di crescita.

Il dono di un figlio

Nella prima lettura ascoltiamo come Anna, una donna sterile, divenga feconda. Colei che soffriva per la sua condizione, sperimenta la gioia della maternità. Anna diviene madre non per un diritto, ma per un dono che proviene da Dio. La sua vicenda è esemplare per ogni maternità, così come per tutte le relazioni familiari: esse restano sempre un dono, non un diritto, anche quando sono ragionevolmente prevedibili e calcolabili secondo le leggi biologiche, anche quando sono regolate ed esigibili in base alle leggi umane e alla legge di Dio. Il genitore ha un diritto sul figlio: ma il figlio resta un dono, non una sua proprietà. Marito e moglie possono aspettarsi reciprocamente rispetto e attenzione, ma nello stesso tempo scoprono quotidianamente che si tratta di realtà che appartengono alla sfera del dono, non dello scambio.

Possibilità del dono

Anna riceve una grazia da Dio, sperimenta la sua misericordia. Ma in che cosa consiste il dono da lei ricevuto? A ben vedere, esso non è altro che la possibilità di donare a sua volta: Anna può esercitare la misericordia come madre. Il dono consiste nella possibilità di donare. Ma nello stesso tempo il dono della maternità comporta una obbligazione, un dovere: una volta divenuta madre, Anna deve donarsi al figlio, con tutta sé stessa. Il desiderio viscerale della maternità, che si traduce poi in amore viscerale per il figlio, è chiamato a diventare consapevole, solido, fedele, realistico: altrimenti non è vero amore, ma un impulso indistinto che potrà facilmente rovesciarsi nel suo contrario.

L’esplosione del dono

Anna ridona il bambino al tempio, perché possa aiutare il suo popolo. Il bambino, ricevuto per grazia di Dio, viene consacrato a lui. Non è un atto dovuto: è un dono che nasce dal profondo, una scelta meditata e consapevole. Anna, nella sua esperienza di sofferenza e desiderio, ha compreso che tutto nasce dal dono di Dio, e perciò tutto deve ritornare a lui. Una volta entrata nel circolo del dono, Anna non ne esce: il piccolo Samuele, richiesto a Dio e ridonato a lui, diventerà il giudice e il salvatore del suo popolo. Riceve il dono della chiamata profetica, e lo esercita  come un ministero per il bene di tutti. Se proseguiamo la lettura del racconto biblico, troveremo a un certo punto, quasi di sfuggita, l’affermazione che “i figli di lui non camminavano sulle sue orme” (1 Samuele 8,4). La circolazione del dono si è interrotta. Può accadere anche oggi: i figli non camminano sulle orme dei padri e delle madri che li hanno generati alla vita e introdotti alla fede. Il dono ricevuto può non essere accolto. O può non essere rimesso in circolo: a lungo andare però se ne vedranno le conseguenze.

Educare un figlio

Per quanto sia limpido lo sforzo educativo, l’esempio profuso da figure autorevoli, il desiderio di genitori illuminati, è sempre possibile che i figli rifiutino la fede in cui sono stati educati. A volte per un breve periodo di tempo, a volte per tempi molto più lunghi.

Più spesso accade però che nel processo educativo emergano i vuoti dei genitori. Un attento discernimento rivela che esiste un istinto materno, un desiderio di paternità, una tensione romantica alla relazione di coppia che non arrivano al vero amore: materno, paterno, sponsale… ci si ferma all’aspetto immediato, istintivo, a volte anche superficiale, senza arrivare alla completezza e alla consapevolezza. Non possiamo giudicare semplicisticamente, solo per condannare. La prova dell’educazione finirà sempre per rivelare i limiti e le manchevolezze anche del miglior padre, della miglior madre possibile. Probabilmente non è un male: al contrario, è il passaggio decisivo. Come avviene nel brano evangelico, per Maria e Giuseppe.

Al di là dei limiti, la presenza del Padre

Maria e Giuseppe scoprono il loro limite di genitori: si illudono forse di poter educare Gesù secondo le loro consuetudini, immaginano che egli si lasci semplicemente trascinare nella carovana dei parenti e conoscenti. Ma esiste un segreto, una profondità, in Gesù, che non si lascia ingabbiare nelle loro consuetudini, nella pur buona usanza di recarsi a Gerusalemme per le feste principali. Il suo posto è nel tempio, a dialogare con gli esperti della Legge, ad occuparsi delle cose del Padre. Maria e Giuseppe non lo immaginavano: la loro genuina, viscerale angoscia (che è propria di una buona coppia di genitori che hanno smarrito il figlio) si incontra con una consapevolezza superiore. Ma così accade ad ogni genitore: il segreto, il mistero del figlio supera ogni pensiero, ogni manipolazione che si è tentati di imporre. In questo caso addirittura il segreto di Gesù, perduto e ritrovato dopo tre giorni, è già il mistero pasquale. Per dare compimento alla Legge, per compiere totalmente la volontà del Padre, Gesù dovrà morire e poi risorgere. Maria e Giuseppe non capiscono: da educatori, divengono discepoli.

Il ritorno a casa

Perché allora Gesù ritorna a casa? Che senso ha la sua presenza a Nazaret, quando si è già aperta la possibilità di affermarsi a Gerusalemme? Seguendo la grande intuizione di Charles de Foucauld, possiamo considerare la vita nascosta a Nazaret come fondamentale educazione di Gesù. A Nazaret Gesù impara quello che non può apprendere dai dottori della Legge, nello studio al tempio. Luca dice che “stava loro sottomesso”. Proprio nella sottomissione di Gesù sta il segreto di Nazaret: Gesù non solo impara, ma per trent’anni circa vive sulla sua pelle il “farsi piccolo”, l’obbedienza, il confronto con una realtà fatta di cose, non di libri.